Abstract

La diffusione globale del virus COVID-19, la sua velocità e modalità di propagazione, le implicazioni sulla morbilità, sulle relazioni sociali e le dinamiche economiche locali e statali, ridefiniscono i processi di costru-zione sociale dei territori. Si propone una lettura del caso cileno, nel tentativo di porre in rela-zione le condizioni strutturali, economiche e territoriali, con l’evoluzione delle misure sanitarie adottate, lette attraverso la prospettiva offerta dalle domande sociali al centro delle proteste che hanno animato il paese dal 18 ottobre 2019. Il quadro politico strutturale è il modello economico iperliberista, im-posto durante la dittatura del generale Pinochet, conservato e ampliato dai governi di centro-sinistra negli ultimi vent’anni, che ha tra i suoi ele-menti caratterizzanti la massima apertura e dipendenza dai mercati inter-nazionali, un settore produttivo appiattito sull’esportazione di materie prime, la privatizzazione dei servizi fondamentali (come la sanità). In un momento in cui, a causa del virus, i singoli stati ripristinano una genera-lizzata chiusura delle frontiere, il modello cileno mira a perpetuarsi privi-legiando gli interessi economici particolari rispetto al benessere colletti-vo, accentuando ulteriormente le disuguaglianze interne tra gruppi sociali e tra territori. L’obiettivo del contributo è analizzare quanto le peculiarità geografi-che dei territori rurali (bassa densità insediativa, relativo isolamento in termini di connettività, etc.) possano limitare la diffusione del virus e, allo stesso tempo, come la limitata presenza di servizi essenziali (quali centri medici specializzati) possa dar luogo a effetti negativi maggiori che nei centri metropolitani.